Prostituzione: «I diritti degli uomini sono i “non-diritti” delle donne»

donna che si tira su calza
Henry de Toulouse-Lautrec – Donna che si tira su la calza – 1894

Cos’è il sesso? Per ognuno potrebbe esserci una risposta diversa, che va dal banale soddisfacimento della libido sino al congiungimento spirituale tra due persone. Ma su una cosa potremmo essere tutti d’accordo, il sesso è sinonimo di PIACERE: non si strofina la lampada di Aladino per farla diventare lucida, ma per il desiderio di far uscire il Genio della Lampada.

 

Avvertenza: la prostituzione è un problema che riguarda tutte le donne.

Porca puttana. Che cos’è esattamente nell’immaginario collettivo che fa di una puttana una “porca”? E perché del vero porco, il puttaniere, non parliamo mai? Ora, secondo voi, quella “porca” della puttana quando vende l’accesso al proprio corpo, proverà piacere? Possibile, ma altamente improbabile. Molte sono le situazioni che possono condurre una donna a vendersi e tra queste di norma non figura la libido, l’obiettivo sarà sempre ottenere del denaro in modo “facile”: prostituirsi non necessita il permesso di nessuno, non richiede esperienza o talento, né un luogo di lavoro e nemmeno il tempo, che di solito per qualunque lavoro supera abbondantemente la durata di una eiaculazione. Richiede solo tanto stomaco, perché si tratta di consentire l’accesso al proprio corpo in assenza di un proprio desiderio e provando disgusto fisico e sessuale per l’acquirente; occorre perciò la capacità di dissociare dalla propria mente l’atto sessuale compiuto dal corpo, corpo che deve fingere di smaniare di desiderio e di godere lussuriosamente. È un atto che non soddisfa alcuna pulsione sessuale di chi si vende, tanto più nella sua abnorme ripetizione. Allora in cosa consiste l’essere porca?

“La prostituzione è il mestiere più vecchio del mondo” è una falsità di dimensioni cosmiche. Per capire come nasce la prostituzione potete leggere il primo capitolo di “Alle donne piace soffrire?” ma ancora meglio il libro “Le dita tagliate” di Paola Tabet, che ha messo a fuoco i meccanismi in modo lucido e incontrovertibile: la ricerca di Tabet «[…] è partita dallo studio della divisione sessuale del lavoro e dell’accesso differenziato dei due sessi agli strumenti e alle armi», per affrontare poi anche «l’organizzazione sociale della riproduzione e della sua imposizione e infine lo scambio sessuo-economico, cioè il continuum di rapporti economici e sessuali che va dal matrimonio alla prostituzione». Ora chiedetevi perché a livello globale gli uomini possiedono il 50% di ricchezza in più delle donne (vedi dati Oxfam 2019): è ormai ampiamente dimostrata la correlazione tra disuguaglianza economica e disuguaglianza di genere, e dove c’è disparità di potere lo scambio sessuo-economico è una costante. Costringete un essere umano in stato di inferiorità (economica, giuridica, sociale, culturale) e otterrete qualcuno disposto a concedere l’accesso al proprio corpo in cambio di qualcosa (cibo, status, denaro, ecc.).

È illuminante rilevare che nella società matriarcale dei Moso, antica di 2.000 anni, della quale abbiamo parlato nel post “Il matrimonio nuoce gravemente alla salute”,

nessuna Moso si prostituisce

Presso i Moso vige libertà sessuale per entrambi i sessi, gli interessi economici e il sesso sono nettamente separati perché i Moso rifiutano il matrimonio, le donne sono libere di scegliere il proprio partner, le relazioni iniziano con l’amore e finiscono quando non c’è più, in totale libertà. Gli uomini Moso non hanno bisogno di umiliare una donna per godere. Non esiste nemmeno violenza domestica.

Invece nelle società patriarcali la prostituzione e la violenza sono problemi che riguardano tutte le donne, perché sono strettamente legate al controllo della sessualità femminile, al dominio di un genere sull’altro, alla divisione delle donne in buone e cattive (conformi o difformi). È evidente che la rivoluzione sessuale non è mai stata completata: siamo rimaste Oggetti da usare, oggi più che mai pornificate e ipersessualizzate sin dall’infanzia, impossibilitate dal sistema gerarchico del sexage a raggiungere lo status di autonomi Soggetti Sessuali .

Avrete senz’altro sentito dire che:

 «[…] tutte le donne sono delle puttane – questo farebbe parte per così dire della “biologia”, della “natura” delle donne – e ogni donna potrebbe, a un dato momento della sua vita, diventare una puttana, o meglio essere etichettata come tale. Ancora una volta ciò che è prodotto di rapporti sociali viene fatto passare come fatto biologico, dato naturale» (Ibidem).

rue des moulins visita medica
Henry de Toulouse-Lautrec – Rue des moulins: visita medica – 1894

Se come donna sei considerata biologicamente puttana, allora diventa ancora più facile “normalizzare” l’aberrazione della vagina e dell’ano come luoghi di lavoro, orifizi da tassare, schedare, sanificare per rispondere all’esigenza di dominare di alcuni uomini, perché come disse quel campione di empatia della Lega «Riapriamo le case chiuse, fare l’amore fa bene»: in questo sproloquio che ignora o finge di ignorare la devastazione delle donne prostituite nei Paesi nei quali ne è stato legalizzato lo sfruttamento, l’uomo-felpa immagina uno Stato Pappone che sfrutta la debolezza delle donne, ne danneggia la salute, perché  «fare l’amore fa bene» agli uomini. Un lavoro come un altro. Qui ci soccorre di nuovo Tabet, che chiarisce:

 

«I due sessi, è chiaro, non godono degli stessi diritti: legittimità e illegittimità non concernono i due sessi nello stesso modo. I diritti degli uomini sono i “non-diritti’ delle donne. Assai spesso quindi la legittimità per gli uomini è usare le donne, l’illegittimità per le donne è la loro opposizione e resistenza ai diritti degli uomini su di loro».

Come si possa associare l’amore ad un rapporto nel quale uno gode comprando il consenso, mentre l’altra subisce fingendo di godere, dimostra una totale ignoranza e noncuranza dei danni fisici e psichici che le prostitute subiscono. Ma la “porca” ha preso i soldi, ha “autodeterminato” il proprio danno, e quindi a posto così.

Insieme alla violenza promossa dalla pornografia, che espone la persona prostituita alla riduzione a “tre buchi” nei quali scaricare lo scroto e la voglia di dominio su un altro essere umano, sono ancora presenti nella narrazione sulla prostituzione deleteri aloni “romantici”. Per esempio alcune canzoni di De André appartengono al “filone romantico”, filone presente anche nella letteratura e nel cinema, che addolcisce il sesso a pagamento con la parola “amore”. Penso a “Via del Campo”: «Via del Campo c’è una graziosa, gli occhi grandi color di foglia, tutta notte sta sulla soglia, vende a tutti la stessa rosa, […] Via del Campo c’è una puttana gli occhi grandi color di foglia, se di amarla ti vien la voglia, basta prenderla per la mano». Amare un cazzo. Tu le fai schifo anche se per ovvie ragioni di marketing non te lo dimostrerà mai. “Rosa”, metafora di vulva, “amare” sinonimo di scopare. Lei è lì, romanticamente in attesa di qualcuno che la “ami”, mica lo può dire che le viene il vomito a vederti nudo e a sentire l’odore ripugnante del tuo corpo. Questo è l’immaginario romantico a cui attinge l’empatico Ministro leghista per comodità di comunicazione con i “benpensanti”.

Poi “Bocca di Rosa”: «La chiamavano Bocca di Rosa metteva l’amore, metteva l’amore, la chiamavano Bocca di Rosa metteva l’amore sopra ogni cosa […] C’è chi l’amore lo fa per noia, chi se lo sceglie per professione, Bocca di Rosa né l’uno né l’altro, lei lo faceva per passione»; e poi sapete come andò a finire, che la buttarono fuori dal paesino di S. Ilario, con il Commissario e il sacrestano in lacrime, perché lei dispensava amore e bellezza a tutti indistintamente, e loro la trattavano come una principessa. «Persino il parroco che non disprezza fra un miserere e un’estrema unzione il bene effimero della bellezza, la vuole accanto in processione. E con la Vergine in prima fila, e Bocca di Rosa poco lontano, si porta a spasso per il paese l’amore sacro e l’amor profano». È una canzone allegra che mi ha sempre messo tristezza, perché denigra tutte le donne che si sono sposate un puttaniere, esaltando Bocca di Rosa come una figura mitologica, senza alcun rapporto con la realtà della prostituzione, che ama tutti gli uomini e che per questo la adorano. «E quelle andarono dal commissario e dissero senza parafrasare: “Quella schifosa ha già troppi clienti, più di un consorzio alimentare”» mette le donne le une contro le altre, “cagnette a cui aveva sottratto l’osso”. Una donna come Bocca di Rosa non esiste: è soprannaturale, e si capisce perciò il sodalizio col parroco. Le stronze alla fine sono le mogli cagnette, invidiose e che non capiscono l’innocuità de “l’amore profano”. Provate a dire a qualunque donna che suo marito/fidanzato/compagno è un prostitutore: alle meno sportive verrà di sicuro qualche fantasia alla Lorena Bobbitt. Eppure sono i nostri compagni, fratelli, padri, figli che comprano le donne.

C’è anche un “filone comico” che in De André troviamo in “Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers”: dopo un amplesso la donnina allegra chiede al Re, abituale puttaniere, cinquemila lire e lui scappa senza pagare. Che ridere, eh?! Un bello stupro raccontato in simpatia. Sarà anche un mostro sacro della musica, ma non riuscirò mai ad amare De André a causa di queste poetica della prostituzione. Molti sono poi i personaggi cinematografici o televisivi di prostitute dipinte in modo comico, per non parlare poi di comici e cabarettisti che presentano l’andar “a bagasce” come qualcosa su cui farsi una bella risata tutti insieme. In ogni luogo vi sono sempre state le “case chiuse”, in Italia fino al 1958: nella mia città da anni si organizza un tour con ambizioni culturali tra gli antichi bordelli, in bilico tra il “piccante” e il “divertente e intrigante”, a dimostrazione dell’alone benevolo di “sana pruriginositá” che ancora connota la prostituzione, nonostante la tragedia della tratta e i riconosciuti danni psico-fisici sulle prostitute.

lautrec due donne da dietro
Henry de Toulouse-Lautrec
Due donne mezze nude viste da dietro
1894

Dal punto di vista linguistico esiste anche il “filone gaudente”, che dispone l’assoluzione del puttaniere in un modo ancora più subdolo: dal signorine con il solito diminutivo strumentale alla celebrazione dell’istituzione matrimoniale, al donnina allegra che definisce una predestinazione caratteriale della prostituta; donna di vita una a cui piace spassarsela, cortigiana una che si è fatta bene i suoi calcoli, passeggiatrice una lasciva perdigiorno; squillo e lucciola ragazza molto Pretty Woman, escort una specie di top model spregiudicata ma molto glamour che seleziona solo la creme della creme tra i virilioti, tutti gentiluomini d’affari che la usano sì ma con i guanti.

Il linguaggio è variegato, ma la maggior parte di definizioni della prostituta appartengono al “filone dispregiativo” per un preciso motivo che riguarda tutte le donne: lo stigma sulla puttana «[…] contribuisce a tenere le donne nella famiglia e a conservare così la struttura familiare, il lavoro domestico e il lavoro di procreazione» (Ibidem). Così abbiamo troia, puttana, bagascia, mignotta, zoccola, sgualdrina, battona, squillo, meretrice, donnaccia, baldracca, marchettara, malafemmina, donna di strada, donna da marciapiede, vacca, cagna, fino al recente “3 buchi”. Epiteti che non sono necessariamente destinati alla donna che si prostituisce, ma all’occasione sono buoni per rimettere al suo posto qualunque donna uscita dai ranghi, infatti:

«[…] questa categoria è una funzione delle regole di proprietà sulla persona delle donne nelle differenti società. E più precisamente è la rottura, la trasgressione di queste regole. […] regole fondamentali su cui si basa la famiglia, la riproduzione, i pilastri dei rapporti sociali tra i sessi» (Ibidem).

Da noi a volte basta poco per trasgredire ed essere giudicata troia, come vestirsi in modo provocante o avere più di un uomo. Ma anche fare carriera o soffiare l’ultimo parcheggio. E non esiste alcun corrispettivo linguistico al maschile per giudicare la sessualità di un uomo.

Ma torniamo alla prostituzione. Per definire lo stupratore a pagamento abbiamo solo il sostantivo “cliente”, del tutto assolutorio nella sua neutralità: nessuno stigma, lui poverino ha solo acquistato un bene disponibile sul mercato, no? Lui voleva solo “fare all’amore”, romanticone! La presa per il culo, anzi l’inculata è servita su un piatto guarnito di cuoricini. Le ossa rotte le nascondiamo sotto il tappeto del denaro, che giustifica qualunque azione. Oppure no, lui cerca di soddisfare un sano impulso naturale che le donne non possono capire; la dominazione degli uomini sulle donne si basa infatti sullo stereotipo differenzialista, come spiega Tabet: gli uomini per natura avrebbero una incontrollabile necessità di sesso, e per questo per le donne sarebbe obbligatorio fornire la materia prima. Quando le donne accettano la teoria differenzialista come stabilita dalla Natura, contemporaneamente accettano anche tutte le altre differenze di potere tra uomini e donne. Così diventa una domanda retorica chiedersi:

«[…] come mai l’uomo più povero, spesso anche nelle condizioni più miserabili, si può pagare dei servizi sessuali, mentre la donna, le donne non solo non possono pagarsi servizi sessuali ma non hanno neppure diritto alla loro sessualità? […] se le donne non hanno diritto alla propria sessualità, in che modo si arriva a questa spoliazione della sessualità delle donne, per che vie, con che mezzi?»

Il saccheggio della sessualità femminile avviene in molti modi, a cominciare dalla morale castrante che è sempre andata a braccetto con la religione e tutti i dogmi reprimenti la naturale esuberanza sessuale femminile; ma anche e soprattutto con il controllo della conoscenza: è ancora oggi molto diffusa anche in Occidente la scarsa conoscenza delle donne dei propri genitali, la vergogna per il proprio corpo, lo stigma sul desiderio, il tabù della masturbazione. Provate a mostrare a una donna l’immagine del suo organo del piacere, la clitoride, e difficilmente la riconoscerà.

Alla luce di quanto fin qui detto, il 5 marzo prossimo la Corte Costituzionale esaminerà in una pubblica udienza la costituzionalità della legge Merlin del 20 febbraio 1958, come richiesto dai legali che difendono Gianpaolo Tarantini accusato di reclutamento e favoreggiamento della prostituzione. Speriamo solo di non fare un balzo indietro di 61 anni. Leggete a questo proposito questo ottimo articolo sul Corriere.

Dobbiamo ancora parlare del libro “Stupro a pagamento” di Rachel Moran e di Modello Nordico, nella seconda parte di questo post. Per ora vi lascio con un prezioso contributo di Ilaria Baldini, che ha formulato in modo provocatorio quello che definirei un interessante “Modello Mediterraneo”, ossia i requisiti necessari per ottenere la Licenza per comprare l’uso sessuale del corpo di una persona


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